Non è la fine del viaggio in Marocco, tuttavia Marrakech è nell’immaginario collettivo, così, per uno strano caso diventa quasi la meta finale.
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Tanti stili diversi
Incredibilmente, nonostante le Medine di Fes, di Meknes e così anche quella di Rabat, fossero più anguste, più intricate e dal pathos pungente, in quella di Marrakech si riesce a perdere l’orientamento. Lontanissima dalle Medine appena nominate, caotica, per alcuni versi priva di quelle atmosfere dentro cui la si immagina, Marrakech esonda di stili.
Non riesco a decifrare se mi piace, così, d’istinto. Mi sento travolta da un viavai continuo, soprattutto uomini. Tanti uomini. Forse troppi. Popolano ogni angolo di questa città e non stanno mai fermi.
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Non ha un fascino poetico ma la sua variegata commistione di elementi la rendono in qualche modo particolare.
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L’Halka
Innanzitutto una piazza. Jamaa el Fna. Un tempo piazza delle esecuzioni, oggi un Halqa, un teatro di strada. Il Marocco dei marocchini e degli incantatori di serpenti, del suono dell’oboe, delle scimmie incatenate e del commercio sfrenato. Osservo dalla terrazza de Le Grand Balcon du Cafè Glacier l’immenso andare e venire dei marocchini. In bicicletta, sul calesse, in motorino.
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E improvvisamente è sera. La piazza si trasforma in un ristorante diffuso, sotto le stelle, anche se è impossibile vederle da sotto il clamore delle luci al neon che vengono accese per illuminare il commercio. Carretti di arance, di dolci e di cous-cous si posizionano, compaiono tavolate lunghissime, una di fianco all’altra. I fumi delle griglie salgono come nebbia e gli odori, del teatro di strada, cambiano.
Passerò tre giorni a Marrakech, spero che domani questa città mi sveli i suoi segreti, ancora nascosti.