Tra le strade deserte del Marocco
Dalla Ziz Valley si esce scalfiti e si risalgono una serie di tornanti massicci, rosei e poi ambrati, si percorrono d’un fiato distese senza suoni e senza orizzonti. La sensazione intima di viaggiare senza più una meta.
Lungo il nulla, spuntano fuori pezzetti di case, morsi dal tempo, apparentemente disabitate. Solo quando il pulmino si ferma e scendo per respirare, compaiono tutti intorno dei bambini che prima non c’erano. Qualcuno ha una bicicletta in mano, un bambino indossa la maglietta di Roberto Baggio, qualcuno allunga una mano piccola sotto i miei occhi.
Mi chiedono delle saponette. “Soap Signora, soap!”
Avendo letto che mi sarei potuta trovare in quella situazione avevo portato con me delle saponette, qualcuna presa nei Ryad in cui avevo soggiornato. Nel distribuirle vedo allargarsi grandi sorrisi, qualcuno mi prende le mani per baciarmele. Io resto immobile vittima di tanta povertà. E poi fisso i loro movimenti che si allontanano, qualche scambio di pallone, una risata, la polvere che si solleva investendoli. Hanno vestiti smangiucchiati, macchiati di bianco qua e là.
[travel]
In fondo, tra le rocce, sul lato opposto della strada, prima che il pulmino riprenda il percorso, si affacciano una mamma con una figlia, probabilmente richiamate dagli schiamazzi degli altri bambini, sembrano uscite fuori da un’altra epoca. E poco più distante da loro un bimbo magrissimo, i piedi nudi, sporco, vittima di quella povertà che ferisce, fa paura e purtroppo ci rende inutili. Non c’è stato un momento del viaggio in cui mi sia sentita peggio.
L’Oasis di Er Rachidia in mezzo a tanta roccia
Lasciata indietro tanta miseria, mi metto a osservare la profondità del paesaggio che scivola dal finestrino. A un certo punto, si nota chiaro, in mezzo a una distesa di creta, un bacino denso di vegetazione, una delle famose Oasis del Marocco.
Si entra a Er Rachidia che somiglia a una colonia. Foglie di bambù, campi di mais, sentieri ombreggiati, liane penzolanti, palmeti diffusi, un rivolo di acqua sotto i piedi, non ci sono suoni che evocano la civiltà o le strade.
Compaiono anche lì dei bambini. Ma questi sono puliti, sorridono, mi toccano i capelli e mi fanno scivolare le piccole mani nella mia, per accompagnarmi. Si litigano la mia mano, i miei capelli, i miei sorrisi. Vogliono delle monete e per farlo cercano in ogni modo di attirare la mia attenzione, ognuno in modo diverso. Qualcuno canta mentre camminiamo nell’Oasi e qualcun altro allunga un origami. Quando vedono che mi piacciono gli origami, staccano ognuno una foglia di bambù e in pochi secondi, intrecciandole, creano tanti animaletti simpatici, che si affrettano a regalarmi.
Le mani ruvide, gli occhi come grandi chicchi di caffè, i sorrisi e anche la tristezza, il loro modo di catturarti, affiancarti, cercare attenzione, quel senso profondo di angoscia per il loro destino, sono tanti piccoli momenti che mi porto dentro di quel giorno. Senza mai dimenticare nemmeno uno dei loro volti.
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