Laureato in Fisica è entrato nel settore della tecnologia per la produzione di audiovisivi di grandi dimensioni nel settore industriale: Eni, Enel, Rai le più importanti esperienze. Ha prodotto oltre un centinaio di documentari industriali e spettacoli in multivisione in tutto il mondo. Negli ultimi 15 anni si è dedicato alla valorizzazione dei beni culturali, ai musei narranti ed alla creazione di libri interattivi per il settore culturale. Ha vinto molti riconoscimenti. È membro del WAVE LAB dell’Università dell’Egeo, membro di Europeana e membro di Artifactory.
La scorsa settimana, parlando della Shoah, è capitato di nominare più volte l’indifferenza come fonte nascosta, ma terribilmente efficace a far accadere tutto quello che è accaduto. Indifferenza è anche la parola che accoglie chi va a visitare il memoriale alla Stazione centrale di Milano, il famigerato binario 21 da cui partivano i treni destinazione orrore.
Indifferenza è il sentimento che più di ogni altro ha fatto soffrire gli ebrei, non solo alla partenza, ma anche al ritorno per chi ce l’ha fatta. Indifferenza è il sentimento che rappresenta Gennaro Jovine, il tranviere inventato dal genio di Eduardo De Filippo, protagonista di Napoli Milionaria, un uomo che al ritorno dalla guerra, la stessa guerra della Shoah, lamenta come nessuno avesse voglia di sentire i suoi racconti storditi com’erano dalla corsa verso un po’ di benessere che cominciava ad emergere a ritmo di boogie-woogie.
Nessuno si curava di sapere, nessuno voleva mettere insieme le rovine per dare un senso alla storia, pensavano tutti che vivere senza la coscienza del passato fosse ancora possibile. Indifferenti, appunto. Quello che il grande Eduardo lanciava era un segnale pieno di significati per il futuro e valido a maggior ragione oggi dove la società dell’intrattenimento, la civiltà dello spettacolo, il paese dei balocchi, rischia di diventare l’unico modo di vita, il traguardo nella scala dei valori.
“Mi devo rilassare”
Divertirsi, sfuggire alla noia è una passione che lega insieme molte persone, “Mi devo rilassare”, frase che ho sentito molte volte da amici trentenni, è una espressione che mi lascia perplesso. Forse eravamo pazzi noi, ma il nostro tempo libero era dedicato ad attività si diverse dal normale ritmo della vita, dello studio e del lavoro abituali, ma pur sempre connesse alla voglia di conoscere tipica di quell’età. “Mi devo concentrare” era, casomai, la frase che sentivamo dire di più.
Intendiamoci, non sono bacchettone e nemmeno puritano, ma trasformare la voglia di divertirsi in valore supremo ha conseguenze terribili: “la banalizzazione della cultura, la generalizzazione della frivolezza e, nel campo della informazione, la proliferazione del giornalismo irresponsabile basato sui pettegolezzi e sullo scandalo.”
Nemmeno i “luoghi sacri del sapere” sono oggi esenti da questa distorsione, volgari e superficiali mezzi di svago e di suggestione hanno invaso anche i nostri musei con la scusa della divulgazione proponendo lo stesso approccio di un luna park, mettendo in crisi conquiste ed opportunità importanti offerte della tecnologia.
Lucignolo, se uscisse dal suo libro, oggi, potrebbe produrre sistemi di realtà aumentata per i beni culturali. Svagarsi, e non voler parlare d’altro non lasciava perplesso solo il protagonista di Napoli Milionaria, ma molti altri tra le future generazioni quando avrebbero cominciato a guardarsi intorno per poi sentirsi inadeguati ad un nuovo che veniva avanti proponendo una diversa concezione della solidarietà, della sensibilità, dell’afflato che la cultura fino ad allora aveva costruito.
Una riflessione sulla “cultura”
Già, la cultura, questo misterioso contenitore dove tutti cercano di inserire di tutto e che rischia di perdere senso e valore proprio perché troppo affollata. Vorrei provare a fare un po’ di chiarezza a me stesso, prima di tutto, approfittando dei libri che suggerisco questa settimana. Io non credo affatto che esista una connessione diretta tra la cultura e istruzione intesa come la capacità professionale a cui un individuo sia giunto applicandosi. Per convincersi di questo basta pensare che chimici ed ingegneri estremamente istruiti hanno progettato e costruito le camere a gas ed i forni crematori, che medici capaci compivano aberranti esperimenti e che infermieri provetti usavano la loro abilità professionale per eliminare i bambini praticando con maestria le iniezioni di cianuro. Istruiti, capaci e provetti si può essere senza avere il minimo afflato di umanità, abdicando qualsivoglia sensibilità umana per non parlare di quella cristiana. Provetti, ma senza alcun riferimento culturale. Professionisti senza un quando di valori.
Vi confesso che questo mi fa essere molto scettico su una scuola che volesse produrre solo “competenze”, come oggi la politica chiede, e non “saperi” come quella dei miei tempi. A volte non bisogna necessariamente rottamare tutto, perché altrimenti si resta poveri o nullatenenti. Un professore mio amico, che vive sulla sua pelle questo disagio, lo chiama “genocidio culturale“. Terrei a mente questa definizione senza considerarla pregiudizialmente esagerata, il genocidio si compie attraverso l’eliminazione fisica o attraverso l’annientamento dei valori che sorreggono un popolo o una comunità. In questo caso non si sta cancellando una disciplina: imparate geometria euclidea invece che latino, no, si sta annientando scientificamente e metodicamente il pensiero astratto. Si sta annullando ogni possibilità di dare una idea alle cose. Le future generazioni sapranno definire una “sedia”, ma non “la libertà”. Della prima si trova certamente una immagine in internet, della seconda no, non esiste immagine di un concetto, questo è il frutto di un percorso razionale che solo l’abitudine al simbolismo astratto può definire.
Antonio Gramsci definiva la cultura come …l’esercizio del pensiero, acquisto di idee generali, abitudine a connettere cause ed effetti, abitudine a pensare bene qualsiasi cosa tu pensi e quindi operare bene qualsiasi cosa tu faccia. Sono le idee generali a prevalere in questo contesto e quello che trovo importante da sottolineare è proprio la gerarchia che Gramsci traccia tra queste e l’operare bene. Secondo la definizione che il grande pensatore sardo ci ha lasciato, sembrerebbe la cultura essere il patrimonio di valori, di idee, di storia, strumento attraverso cui si crea la conoscenza, l’istruzione, la buona pratica, il saper fare.
Di conseguenza, la materia prima di qualsiasi processo di innovazione. La cultura, secondo questa visione, è ciò che consente all’uomo di vivere consapevolmente condividendo le regole stesse del vivere comune. Questa idea di cultura è il denominatore della coesistenza e della interazione tra persone che in futuro avranno conoscenze molto diverse accumulate nel tempo per la necessità di specializzazione che il progresso stesso impone o non le avranno perché orientate a lavori più semplici, ma in un quadro di valori comune.
La cultura è una bussola che orienta dando priorità e valori etici che sono i figli della grande tradizione classica: sono i miti e gli eroi che si formavano nelle nostre menti bambine e che sono ancora lì.
Cosa è la cultura oggi?
Oggi la parola cultura diventa un “fantasma inafferrabile” sospeso in un brodo di coltura per cui tutto è uguale a tutto, non esistono gerarchie, non c’è l’alto e non c’è il basso, solo il deserto, ciò che non cambia mai, ciò che, per il fatto di esistere, ha la stessa dignità di ogni altra cosa. Allora chiunque può credere di essere colto visto che tutto è cultura. Se date una scorsa ai giornali trovate che esiste una “cultura della droga”, una “cultura punk”, una “cultura minimalista” (sic), ho trovato perfino “la cultura dell’estetica nazista”, tutti colti, perbacco, tutti uguali, come nel libro che oggi vi consiglio di leggere, dove il maiale, capo della fattoria degli animali, usa proprio l’uguaglianza generalizzata per convincere gli altri a seguirlo nella sua rivoluzione contro l’uomo.
Se poi andate on line, cominciate a vivere nei social, forse non vi accorgerete nemmeno che potenti algoritmi matematici sono in grado di farvi credere in ogni momento, che ciò che voi pensate: giusto o sbagliato che sia, sia condiviso dal resto del genere umano. Ciò che vi appare intorno è solo quello che vi è omologo, sarete soli, ma convinti di essere leader del vostro stesso pensiero, sarete concentrati in campi virtuali gestiti da provetti ingegneri e manager super organizzati. Non trovate in questo una spaventosa analogia?
Una cosa è credere che ogni cultura possa contribuire alla vita di tutti i giorni con il suo apporto di riti e di culto, altro è credere che tutto si equivalga, come nella favola di Orwell prima del disastro.
“Oggi tutti sono uguali, non c’è più differenza” afferma deluso il direttore di “Prova d’Orchestra” poco prima della distruzione totale. Nel film, Federico Fellini, allude all’appiattimento artistico e culturale portato in auge dalla televisione, noi ne sappiamo qualcosa teleguidati prima e oggi socialmente confinati in mondi virtuali dove o una cosa ti piace o non c’è altra scelta che non interagire; non esistere. Lo giuro, quando le scelte saranno almeno tre: mi piace, non mi piace e chi se ne frega, forse anche io comincerò ad usare quegli strumenti.
La cultura non è la conoscenza, è il presupposto che la consente
Al paese, ai giovani occorre altro, occorre essere formati, alla bellezza, al gusto, occorre un patrimonio di idee, di storia, di pensiero, senso critico, un metodo che trasporti l’etica nelle professioni ed impedisca le storture di cui parlavamo all’inizio. La cultura non è la conoscenza, è il presupposto che la consente.
Uno stato democratico a cui stia a cuore la crescita culturale del paese ed il diritto allo studio mette tutti, indipendentemente dalla condizione sociale alla nascita, nelle condizioni di poter accedere e contribuire ad accrescere prestigio e capacità in ambito internazionale.
Uno Stato antidemocratico, al contrario, oligarchico ed autoritario cancella questa élite culturale, fa si che tutto sia cultura in modo che questa sparisca; misura audience, trasforma tutto in numeri per poterli manipolare meglio, affinché resti solo la divisione sociale data dal fatto di essere nati ricchi o poveri. Le élite diventano casta e la cultura espatria.
Io a scuola ci sono andato a partire dalla fine degli anni ’50, quando era un grande strumento di mobilità sociale. Nella mia classe c’erano bambini della buona borghesia commerciale e bambini molto poveri, la loro collocazione professionale oggi, è totalmente indipendente dalla loro provenienza sociale proprio perché quella scuola sapeva di essere per tutti, ma non aveva alcuna intenzione di formare una società di eguali.
Oggi lo stato fa il contrario, asseconda chi vuole distruggere il sistema dei valori e lo fa facendo passare il tutto per una riforma progressista.
Non restiamo indifferenti
La democrazia prevede uguali diritti, ma ciò non significa avere tutti lo stesso talento, le stesse abilità, lo stesso grado di conoscenza, lo stesso potenziale e non significa arrogarsi il diritto di avere opinioni su tutto che abbiano lo stesso valore di quelle di tutti.
Perché avere una opinione non significa affatto conoscere. Ben altra cosa è invece il diritto di tutti di partecipare alla vita pubblica (ricordate Giorgio Gaber? Libertà è partecipazione) è proprio l’idea illogica che tutte le opinioni debbano avere lo stesso peso a impedire che la partecipazione venga alimentata come dovrebbe.
Rinunciare al parere di chi abbia costruito nel tempo un lento avvicinamento alla conoscenza razionale e documentata di un determinato argomento, relegarlo nel mondo degli uguali agli altri, non significa solo rigettare il sapere come carburante di qualsiasi azione coerente, significa sopratutto perdere di vista i modi ed il metodo attraverso cui il sapere e la conoscenza si possono acquisire.
In breve significa rigettare la scienza e la razionalità che sono i fondamenti della civiltà occidentale.
Non la voglio fare complicata, ma non meravigliatevi del fatto che questa civiltà sia sotto attacco, le ragioni sono anche queste. Poi io, quello che non capisco proprio, per finire con un dubbio, è come mai moltissimi di quelli che pensano le opinioni essere tutte uguali, le gerarchie non dover esistere, i talenti e le attitudini avere uguale peso nella società, quando parlano di verdure o di insalate rivendicano sempre la biodiversità. E l’uomo no? Mistero! Non restiamo indifferenti!
I Libri:
Una classico del teatro
Eduardo de Filippo, Napoli Milionaria, Einaudi
Una favola per grandi e piccini
George Orwell, La fattoria degli animali, Oscar Mondadori
Un approfondimento teorico sulla civiltà:
Mario Vargas Llosa, La civiltà dello spettacolo, Einaudi
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