Casablanca non lascia un segno nel cuore come invece la Moschea di Hassan II, che già dalla strada cattura lo sguardo
Scatole di carta
La costa atlantica del Marocco era considerata la fine del Mondo dagli abitanti delle città che vi si affacciavano e, in effetti, mentre percorro il litorale che mi condurrà a Casablanca e quindi alla Moschea di Hassan II, di tanto in tanto, sbircio dal finestrino questa assenza di orizzonte.
Un mare color zucchero, un tempo soggiogato dai pirati e oggi di grande caratterizzazione balneare.
Casablanca in questa linea immaginaria occupa un posto prestigioso, è la metropoli economica e culturale del paese, la città che più di tutte si è trasformata nel corso dei secoli.
Non c’è l’atmosfera che ho respirata nelle altre città, manca del carisma tipico delle Medine medioevali. Qui si va dalle bidonville, quartieri le cui case sono scatole di carta e plastica prive di acqua, ai moderni viali che ospitano palazzi pubblici molto eleganti, palmeti, atelier di stilisti in voga.
Insomma non c’è un incontro tra il potere economico e le masse povere.
Sul pelo dell’acqua
La Moschea di Hassan II occupa così un posto di grande spicco e non solo perché ha una sua identità storica ma perché la magnifica composizione sul mare la eleva, tanto da farla sembrare quasi un miraggio dalla strada.
Nel piazzale resto immobile, sopraffatta da questa grandezza che non saprei misurare. Mentre mi avvicino mi colpiscono i dettagli, le decorazioni degli stucchi e poi, all’interno, le incisioni nel legno di cedro, di una manualità non casuale, e infatti poi leggo su un tableau che vennero impiegati seimila maestri artigiani per realizzarli.
Un lavoro mai veramente terminato.
La Moschea costò una cifra spaventosa e, come spesso avviene, furono i poveri a finanziarla tramite una sottoscrizione pubblica, ma è normale che i marocchini ne vadano fieri e l’abbiano resa fruibile anche a chi non è di fede musulmana. E per questo ho potuto accedervi.
Inutile dire che, una volta varcato il Salone delle Preghiere, si rimane scioccati dall’ampiezza. E anche il fatto di camminare scalzi destabilizza.
Invece fuori, affacciati sul muro che separa il piazzale dal mare si riprende possesso del proprio corpo. Si può restare a guardare quel tratto di Oceano per ore e vedere entrare e uscire fiumi di persone, tutte diverse, tutte stupite come me della grandezza fisica.
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