Presenze assenti
A differenza della Kasbah di Ouarzazate, elegante ma asettica, la Kasbah Tebi richiama suoni non suoni ma anche voci di bambini, vibrazioni di luce intense, una assenza di anime e vita, potenti. Quando si toglie contenuto, spesso, si pensa a qualcosa di aggravante. Invece la sottrazione è, in molti casi, un valore aggiunto. Questo è uno di quei casi.
Mentre un bambino cerca di fermare l’intrusione, di preservare l’appartenenza a un posto incustodito ma meraviglioso ti rendi conto di essere un’estranea, di farne parte in quel momento ma di non esserne parte affatto. Il posto ti dimenticherà, dimenticherà i tuoi passi, ma tu non potrai più dimenticarlo. Kasbah Tebi è come una ferita.
I vicoli fantasma, le facciate libere da decori, l’assenza di porte, di convivialità affrontano il visitatore con grande forza, aprono una dimensione a cui non si è abituati. Il clamore delle mete turistiche qui non c’è, eppure si è dentro una nicchia di mondo ben definita.
È riposante camminare consapevoli. Si affronta l’angolo senza averne paura. Le voci senza averne noia. Sono luoghi disperati che vale la pena di vedere. Entrarci.
Il silenzio parla
Affiancata da un gruppetto di bambini e altri visitatori mi lascio incondizionatamente attrarre dalla solitudine delle stradine, degli atri e delle piazze, assorbo il color ruggine delle case e tocco le superfici ruvide con il desiderio di rimanerci intrappolata dentro. In quel silenzio assordante di Kasbah Tebi.
Quando l’intensità del luogo svanisce, mi trovo dentro un’ansa di fiume in secca, un piccolo deserto che mi separa da Ait Ben Haddou. Guardo indietro per un attimo, con gratitudine.