È una San Pietroburgo velata quella che vi racconto, non che l’Hermitage non lo sia, ma ci sono luoghi simbolo e luoghi carnali
Al di là della Grande Prospettiva
Ho voluto chiamare San Pietroburgo velata quella parte di questa città che mi ha incuriosito.
San Pietroburgo raccoglie ogni nome che le è stato dato (da Pietrogrado a Leningrado, da Piter a Palmiro del Nord, da città sulla Neva a città delle notti bianche) e lo annovera per diletto, mantenendosi fedele alle sue origini.
È in assoluto una capitale straordinaria, immensa, dentro i cui orizzonti vasti l’occhio resta ipnotizzato. Non esiste una città ma un intersecarsi di tante città, che convivono insieme e separate.
E questi mille volti vanno soprattutto camminati per trovarsi di fronte a una San Pietroburgo velata Non lasciatevi scoraggiare dalle lunghe percorrenze, prendetevi più giorni ma camminateci dentro, perdetevi, lasciatevi trasportare dall’elettricità che si respira a ogni angolo di strada, sopra ogni ponte.
E allora potrete ritrovarvi davvero catapultati in tante esperienze diverse, dalle più mistiche alle più artistiche. Se dovessi dire che l’Hermitage ad esempio mi ha colpito molto, direi una mezza verità. In assoluto raccoglie opere conosciute che hanno tracciato la storia della pittura nel mondo ma se davvero volete fare un bagno di nuove sensazioni visive è bene che visitiate il Museo Russo.
Istintivamente si pensa di tralasciarlo, l’Hermitage è più simbolico, confidenziale, perché perder tempo nel solito museo noioso?
Destino o curiosità?
Ma poi capita una giornata di pioggia e quindi la scelta ricade proprio su quel museo. E si resta soggiogati dalla tanta fame artistica dei pittori russi che in ogni quadro miscelano i colori come se dovessero reinventare il mondo. C’è una rabbia creativa, un’esigenza di racconto, una realtà, a volte, cruda e crudele ma più significativa dei ritratti famosi, che si dipana sui volti e verso gli orizzonti degli Zar.
E se dovessi portarvi in un luogo misterioso della mia San Pietroburgo velata vi porterei di certo nella Cattedrale di Kazan, durante un rito ortodosso. C’è un palpitare di candele accese, odore corrosivo di incenso, labbra che baciano colonne, che baciano mani, un’atmosfera pregna di fede, così lontana dalla vulcanica Prospettiva Nevsky, la via più famosa di San Pietroburgo.
Strade della memoria
Come se un mondo sommerso si consumasse tra le colonne di una Chiesa, a dispetto della contemporaneità. C’è un sapore triste e retrò nelle scene di fedeli che pregano e della casta religiosa che sfila in abiti sacri.
Poi un’intensa percezione dei loro respiri, dei loro occhi addosso, che mi studiano, prende il sopravvento e mi rendo conto di essere l’unica turista presente. Avvertono la mia macchina fotografica come un pericolo, quindi la metto via. E, forse, mi guardano meno male di qualche secondo prima.
Quindi, probabilmente, vi porterei a quaranta minuti circa da San Pietroburgo, nel Cimitero di Piskaryovskoe, dove riposano cinquecentomila vittime della Seconda Guerra Mondiale. Un luogo di croci senza nomi, accompagnate dalla stella rossa per ricordare un militare, dalla falce e martello per ricordare un civile. Un posto dell’anima, immenso. Che non ha bisogno di molte spiegazioni. È lì per definire una guerra e i suoi caduti.
E la cura dei militari, che la tengono pulita e ordinata, che stanno chinati ore a carpire erbacce, entra subito nel cuore. Il silenzio fa il resto.
Della stessa Autrice:
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