Viaggio al Santuario di Polsi tra le montagne Calabre dell’Aspromonte.
Nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte, nel territorio di San Luca, nascosto in una vallata scavata dal torrente Bonamico, sorge il Santuario della Madonna della Montagna di Polsi. Un luogo di devozione. Un luogo di preghiera.
Meta di pellegrinaggio, in particolare nei mesi estivi, ma soprattutto in occasione della festa in onore della Madonna che si celebra il 2 settembre di ogni anno in occasione della quale i pellegrini accorrono numerosi.
Durante l’imperversare delle persecuzioni contro i Cristiani, fedeli provenienti da Messina si stabilirono in Calabria in una delle più profonde e sperdute valli dell’Aspromonte ed eressero la prima chiesa. Correva il III secolo d. C.
A seguito dell’emanazione dell’editto di Costantino, che riconobbe alle comunità cristiane piena libertà di culto, i religiosi siciliani fecero ritorno alla propria terra d’origine. La chiesa, così, visse in stato di abbandono fino al 1144, quando un pastore, in cerca del giovane toro smarrito, ritrovò il proprio animale inginocchiato davanti alla croce di ferro dell’antica chiesa, dallo stesso miracolosamente dissotterrata.
Fu allora che al pastore apparve la Vergine Maria che gli indicò il punto ove erigere la nuova chiesa.
Un’altra leggenda vuole che in luogo del pastorello fosse il conte Ruggiero il Normanno ad avere in visione la Madonna durante una battuta di caccia e i levrieri del nobile a portare alla luce la croce.
Ad ogni modo, ebbe inizio la devozione alla Santa Croce e alla Madonna, Santa Maria di Polsi, più comunemente detta nel territorio La Madonna della Montagna.
Sono passati oltre venti anni dalla mia prima visita al Santuario; sono poi tornato altre volte a Polsi e l’ultima questo anno.
Le scene che ho visto in occasione della mia prima visita sono ben salde nelle mia memoria. Scene di altri tempi, scene che sembrano appartenere ad un’epoca ancora più lontana, oserei dire medioevale. Scene crude ma di una bellezza e spiritualità unica.
A Polsi si arrivava a piedi, a dorso di muli, cavalli e asini o con mezzi fuoristrada percorrendo mulattiere strette e ripide.
Dai paesi vicini pellegrini partivano di notte per convergere sul luogo Santo dopo ore e ore di estenuante cammino.
Camminavano in fila, grandi e piccini; chi tenendosi per mano, chi coprendo il percorso a piedi scalzi per voto. Alcuni fedeli compievano un tratto di strada sulle ginocchia. Donne che si battevano il petto con il pugno e gridando invocavano il miracolo. Pellegrini che raggiungevano il Santuario urlando di tanto in tanto “Viva Maria“.
Fuori dalla Chiesa ambulanti vendevano la propria merce. Ciò che più mi attraeva erano le bancarelle dei macellai con appese le carcasse di capra. Le macellavano direttamente sul posto con un’abilità impressionante, specie nello scuoiarle. Tralascio i particolari.
Oggi la Località si raggiunge in auto, percorrendo strade in parte ancora sterrate, soggette a continui smottamenti e frane.
L’avvicinamento al Santuario regala splendide immagini del contesto montano: fitti boschi, vedute mozzafiato e animali al pascolo, valori paesaggistici del Parco Nazionale dell’Aspromonte.
Molte usanze sono state abolite come quella della macellazione per il mancato rispetto di norme sanitarie. Anche alcuni riti sono venuti meno come il dormire all’interno della Chiesa, lo strusciare la lingua sul pavimento della Chiesa o lo sparare con i fucili in segno di festeggiamento.
Sopravvivono anche i pellegrinaggi delle carovane, così chiamano da queste parti i gruppi di fedeli organizzati che partono dal proprio paese alla volta di Polsi. I pellegrini si incamminano a piedi dai vicini paesi di San Luca e Mammola ma anche dai borghi più lontani come quello di San Giorgio Morgeto. Raggiunto il Santuario trovano alloggio nelle casette a loro dedicati o nell’edificio denominato “la balconata”.
Ciò che è rimasto immutato è comunque la fede che spinge moltissime persone a raggiungere il Santuario per invocare la grazia, per superare una disgrazia o semplicemente per pregare.
Un aspetto che caratterizza il pellegrinaggio alla Madonna della Montagna è la gioia che si manifesta con canti e balli. La musica suonata con gli strumenti tipici della civiltà contadina calabrese quali tamburelli e zampogne, quest’ultime sostituite, oggi, da chitarre.
Un bel portale in bronzo accoglie i religiosi nell’edificio sacro. Sul portale sono riprodotte le scene della vita di Polsi dalle origini ai giorni nostri.
La Chiesa ha tre navate; il soffitto a cassettoni è impreziosito da foglie in oro zecchino. Archi e colonne decorate con stucchi.
L’altare maggiore è in marmo policromo; sullo stesso troneggia la statua della Vergine con bambino risalente, verosimilmente, al 1560. La Statua, dal peso di circa otto quintali, viene rimossa dalla sua sede ogni cinquanta anni per essere portata in processione in occasione della cerimonia dell’incoronazione.
All’interno è esposta la Croce in stile bizantino che si può adorare sopra un altare posto lungo la navata sinistra.
Un particolare attrae la mia attenzione. Una piccola cassa funebre sulla quale si vede ancora uno stemma principesco e si legge in parte il nome di Giovan Battista.
Correva l’anno 1771 quando Livia Caraffa, moglie del Principe di Roccella, chiede alla Madonna di avere un figlio maschio. Avendo ricevuto il dono, i genitori offrirono al Santuario, in segno di gratitudine, argento equivalente al peso del neonato.
Dopo qualche tempo, la famiglia decise di far visita al Santuario ma nei pressi di Bovalino il bambino morì. Livia era decisa a raggiungere Polsi e portare il corpicino alla Madonna.
Arrivati al Santuario, consegnarono il piccolo al padre superiore che lo espose sull’altare invitando i fedeli alla preghiera.
All’invocazione “Regina di Polsi prega per noi” il bambino riacquistò la vita.
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