Più che un viaggio, è opportuno considerarla una vera e propria esperienza di vita. Visitare Papua Nuova Guinea, lo diciamo subito, non è cosa da tutti.
Il problema non è dato tanto dall’aspetto logistico che vede questo Stato ai confini del mondo, ossia in Oceania, quanto dal fatto che sia la parte di territorio che si trova nella Nuova Guinea che le isole dell’arcipelago di Birmarck che compongono questa nazione, sono tutt’ora alquanto selvagge e prive di quella normale soglia di sicurezza che si può trovare in altri luoghi.
E’ bene sapere che la popolazione che vive in questo Stato per circa l’85% è composto da Papua ed è composta da centinaia di gruppi etnici locali radicati in questo territorio migliaia di anni fa e, per questo, possono considerarsi nativi.
I primi parlano la lingua huli e surroundingi e si trovano nelle regioni di Komo, Koroba e Tari dove sono stimati in oltre sessantamila individui. Interessante sapere che la loro cultura viene perpetuata solo oralmente grazie a canti popolari e aneddoti che narrano le loro storie e le tradizioni huli.
Esperti viaggiatori e navigatori, hanno per queste doti, alimentati i loro commerci. La divisione in clan e sottoclan deve essere considerata come un valore che ne delimita le parentele. I sottoclan sono autonomi nelle loro scelte che non devono essere sottoposte all’approvazione del capo del clan.
Molto profonde sono le relazioni sociali che vede la concezione familiare Huli, decisamente più salda ed omogenea di quella delle società occidentali che danno un valore più superficiale al contenuto della parola ‘comunità’.
Il popolo Huli vive principalmente di agricoltura che praticano rispettando la ciclicità della stessa e questo li costringe a periodici spostamenti per lasciare alla terra, il tempo di ‘ricaricarsi’ ma anche per permettere un rimboschimento della zona sfruttata. Fattori questi, che denotano una indiscussa sensibilità verso la natura.
Come avviene per altri popoli, per gli Huli il proprio corpo diviene un veicolo per esprimere una qualsivoglia comunicazione. Lle colorazioni che compongono le decorazioni sono mezzi di un metalinguaggio che accomuna tutti i clan. Durante le principali cerimonie, gli abiti tradizionali sono posti in secondo piano rispetto alle decorazioni di argilla colorata che viene applicata direttamente sul corpo per trasmettere dei messaggi così come gli elaborati copricapi dove le piume degli uccelli del Paradiso, sono la parte fondamentale.
Il popolo Korowai vive all’interno delle foreste pluviali che si trovano nella parte occidentale del territorio di Papua Nuova Guinea ed è alquanto recente il contatto con il mondo esterno che avvenne solo nel 1974.
Per millenni questa etnia ha vissuto la sua esistenza all’interno di un’area di seicento chilometri quadrati, ignorando cosa ci fosse al di fuori di quel territorio. E’ un popolo di cacciatori anch’esso diviso in clan (spesso rivali) che vive su case costruite sugli alberi per via delle inondazioni provocate da due fiumi che rendono acquitrinosa la pianura. Le abitazioni sono collocate a gruppi di due/tre ad altezze variabili dal suolo, arrivando anche ad oltre quaranta metri. Le case costruite sugli alberi sono concepite per ospitare anche più di una decina di persone, oltre ad animali e ad effetti personali.
I Korowai sarebbe tuttora l’unica etnia al mondo che pratica l’antropofagia, pur risultando vietata dalle leggi della Papua Nuova Guinea.
Una troupe televisiva è riuscita a raggiungere questo popolo solo perchè aiutato da una guida locale conosciuta dal capo di un clan ed è riuscita a documentare la vita quotidiana dei Korowai, offrendo una esaustiva indagine sull’ancestrale modo di vivere di questi nativi della Papua Nuova Guinea.
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