Mentre sei in strada, a Firenze, e sorseggi un bicchiere di vino, fumi una sigaretta, ti allacci una scarpa, scatti una fotografia, la vita scorre con semplicità e l’arte cammina come in una danza circolare. Firenze scorre. Come il suo fiume, l’Arno. Ma anche come gli artisti contemporanei che, negli anni, si sono succeduti in piazza della Signoria lasciando, in mezzo a tanta delicata bellezza e opere antiche, forse, l’unica traccia negativa.
L’arte vera scorre pur rimanendo al suo posto, eterea, pura, saggia, di quella saggezza che rimette al proprio posto le cose. Se ne riappropria perché è la sua terra.
Una ricchezza straordinaria di cui Firenze gode dal 1736. Da quando, cioè, una donna, l’elettrice del Palatinato Anna Maria Luisa de’ Medici –firmataria delle trattative tra Austria e Spagna per la successione della Casa dei Medici- nel designare Francesco di Lorena a erede universale esigette dallo stesso che il Patrimonio artistico toscano fosse vincolato alla città. Custodito per sempre dentro le sue mura.
E proprio per questo status, inalterato del tempo, Firenze è come un nido dove si torna volentieri.
Poi certo, a volte Firenze fa brutti scherzi. In Piazza della Signoria, esiste un’area designata al contemporaneo, e lì, si possono incontrare davvero strane creature che poco hanno a che fare con il passato storico. Trovai, ad esempio, un paio di anni fa un’opera di Jan Fabre che aveva appena inaugurato la mostra itinerante, dal titolo, “Spiritual Guards”.
L‘opera battezzata Searching for Utopia, è un’installazione contemporanea, o meglio, una tartaruga dorata che, secondo l’autore belga, avrebbe dovuto conversare con la statua equestre di Cosimo I.
Ora, cosa avrebbero dovuto dirsi una tartaruga e un Duca, non lo sapremo mai. Tuttavia, io sono rimasta affascinata dalle forme che prendevano vita sulla superficie specchiata del gigantesco animale. Una conversazione c’era in fondo, tra il lento fluire di immagini oblunghe e i passanti, a loro volta deformati ma curiosi. Tipo me.
Contestato per alcune sue altre opere, dagli animalisti che non lo considerano etico, ha poi lasciato la piazza per fare posto a un’altra opera altrettanto discutibile, Big Clay dell’artista Usr Fisher. Un voluminoso ammasso di acciaio brunito, la cui forma ha dato adito a diverse interpretazioni. Alcune piuttosto ardite.
Attualmente, un altro punto di forte disaccordo tra amministrazione e cittadinanza è la O di Giotto, di Helidon Xhixha. Un elemento che esplora l’idea di Caos e di Ordine, utilizzato per riqualificare Piazza San Firenze dall’abusivo mercato di ambulanti. L’opera, però, si è vista defraudata del suo ruolo. Pur rimanendo nello spazio a cui era destinata, un ordine del Tar ha sospeso la precedente ordinanza del Sindaco e ha restituito lo spazio agli ambulanti.
Meglio tornare verso l’Arno, guardare il passaggio dell’acqua, qualche barchetto sotto che trasporta turisti o qualche sportivo che invece si prepara per una regata.
Sì, meglio l’acqua, quel Ponte Vecchio meraviglioso che a guardarlo da lontano, più di quando lo si attraversa, lascia percepire di come quella tradizione artistica, protetta da Maria Luisa de’ Medici, sia diventata epidemica. Le botteghe artigiane hanno, infatti, diffuso nel mondo un’immagine di Firenze che somiglia a una grande città d’arte e di splendore, cosmopolita pur essendo piccolina.
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