Il 10 è stato finalmente il giorno dei gorilla. Siamo partiti alle 06.00 con il pick up di Francis (l’autista assegnatoci dalla prenotazione presso l’ORTNP di Ruhengeri – $.50). Siamo arrivati al quartier generale dell’ORNTP alle 06.30, per primi, e siamo stati accolti cordialmente dal personale che ci ha registrato, ha controllato le nostre prenotazioni (e i nostri pagamenti) e ci ha offerto thè e caffè. Alle 07.00/07.30, arrivati tutti gli altri, ci hanno assegnato ai vari rangers accompagnatori i quali ci hanno introdotto brevemente ai membri del gruppo di gorilla che avremmo visitato: per noi il “group 13” con Agashya (Speciale) silverback.
Ci siamo dati appuntamento alle pendici del vulcano dove ci hanno condotti i nostri rispettivi autisti percorrendo una strada di sassi che dire impervia è veramente un eufemismo. Da questo punto è iniziato il nostro tracking, non prima di aver preso in consegna un robusto bastone da montagna. Siamo partiti alle 08.00, con la promessa che avremmo avvistato i gorilla di li ad un’ora circa. Non è stato così… Ben presto siamo entrati nella foresta che, a ragione, nella parte ugandese è detta “impenetrable”. Le piogge dei giorni precedenti avevano reso l’ambiente completamente umido e la terra bagnata e molle; dopo pochi passi le nostre scarpe sono sprofondate nel fango per riemergere, a fatica, lorde e fradice. Abbiamo mosso quei primi passi stando attenti a dove mettevamo i piedi, timorosi quasi di sporcarci: non sapevamo quello che ci attendeva! Poco dopo il percorso ha iniziato ad inerpicarsi su sentieri disegnati dal macete del capofila, tra rovi, liane, piante urticanti, terra e fango ovunque.
Tra salite impossibili, in cui il bastone si è rivelato essenziale, e discese mozzafiato, in cui l’unico modo per non cadere è stato affrontarle direttamente con il sedere, abbiamo letteralmente bucato la foresta, dando sfogo ad istinti sconosciuti di sopravvivenza! La fatica è stata eccezionale, almeno per me. Anzi, non ricordo di aver mai faticato tanto, soprattutto perché la ricerca dei gorilla è durata ben tre ore, durante le quali più d’uno avrà pensato di finirla lì: chi se ne frega dei gorilla maledetti! Poi, poco dopo, un portatore me ne indica uno tra i cespugli scoscesi che mangia tranquillo nonostante io sia a meno di tre metri da lui (anzi da lei, è una femmina).
Poi ci fermiamo, abbandoniamo i nostri zaini (il mio è completamente bagnato per quanto ho sudato…) nelle mani dei rangers che sono già sul posto (seguono i gorilla giorno e notte) e ci caliamo dall’alto per gli ultimi 10 metri verso il loro accampamento giornaliero. Il primo a venirci incontro è un cucciolo che gioca indisturbato tra i rami sotto l’occhio vigile della madre che, in realtà, sorveglia noi. Ci sporgiamo per vedere Agashya, il silverback dalle dimensioni enormi: la sua testa è grande almeno quanto il mio torace. Una mamma ed un cucciolo ci vengono vicinissimi, intenti a mangiare. I rangers ci chiedono di voltar loro le spalle e non guardarli, ma è impossibile! Ora debbo scostarmi per non toccarli per quanto si sono avvicinati e, a pochi centimetri da me, la mamma si siede in terra ed inizia ad allattare il suo piccolo: è bellissima ed incredibilmente umana, lo coccola esattamente come fa ogni donna con il proprio figlio.
Gli occhi dei gorilla testimoniano più di qualsiasi altra cosa la loro vicinanza a noi perché sanno trasmettere chiaramente sentimenti e sensazioni. Tutti sono intenti a scattare foto, soprattutto al silverback. Io, unico degli otto senza una macchina fotografica, cerco di guardare ciò in cui sono immerso senza il filtro dell’“occhio fotografico”, senza cercare lo scatto giusto: il meraviglioso silverback è quello che dimostra la maggiore dose di “animalità”; mangia di gusto e con estrema tranquillità, ma tutti percepiamo che siamo suoi ospiti, nel suo territorio. I rangers continuano a controllarci a vista mentre lui emette sonori peti alzando lo sguardo solo di tanto in tanto. Non fa paura nonostante le sue dimensioni mostruose e, con animo bambinesco, vorrei corrergli incontro per abbracciarlo, ma, mentre lo guardo, anche se mi mette fame per il gusto con cui morde il bambù, sento che è lontano da me, dal mio essere umano. Le femmine ed i cuccioli, invece, no. Il loro rapporto madrefiglio, la compostezza delle une, il giocherellare degli altri, me li rende veramente comuni alla mia natura.
Siamo parenti, e si vede, e si sente. Certo, in fondo questo puoi percepirlo anche quando guardi gli occhi di una scimmia allo zoo, ma qui il cuore è libero da ogni senso di colpa: sei tu a casa loro, dove sei ospite accolto; nessuno è in gabbia e l’umana presunzione di superiorità è bilanciata pienamente dal loro patto di non aggressione: in fondo, se volessero, potrebbero ucciderci in un attimo. Alla fine penso che quel coglione di inglese con 2 macchine fotografiche supersoniche appese al collo, che sgomitava tanto per essere in prima fila a fare le sue 500 foto in un’ora, non abbia accettato, neanche per un attimo, di vivere la sua umanità alla pari dell’essere animale del silverback. Alla fine se ne è tornato a casa con le foto dell’animale, da esibire come trofei di caccia, mentre quello lo ha trattato come un suo pari, lasciandogli salva la vita. Certo, sono gorilla “abituati” all’uomo (dall’uomo). Ma nella loro assunta inferiorità, i gorilla hanno saputo accettare in pace la nostra presenza, mentre noi, con la nostra superiorità, siamo stati capaci di sterminarli e potarli negli zoo delle città degli uomini.
Finito il tracking, per caso, Ba ha chiesto ad una delle ragazze che era nel nostro gruppo dove fosse diretta. Abbiamo così trovato un passaggio per la frontiera con l’Uganda e, poi, sino a Kisoro, dove eravamo diretti anche noi. La frontiera è semplicemente una strada bloccata da una sbarra che, dalla parte del Rwanda è asfaltata, mentre da quella dell’Uganda è l’inferno. In effetti da lì transitano solo uomini e donne a piedi, difficile anche trovare un passaggio. Ed inoltre pioveva. Giunti a Kisoro abbiamo preso alloggio alla Blue Monkey ($. 15) consigliataci dal simpatico autista delle ragazze che ci hanno dato il passaggio. Anche questa “pensioncina” piena di giovani europee, è veramente spartana: cemento rotto e consunto a terra; tenda per dividere la “room” dal bagno; letti incrociati per occupare meno spazio; muri quasi diroccati; porta d’accesso alle stanze fatta “artigianalmente” in legno, con lucchetto e chiavistello. Insomma, da non potersi appoggiare al cesso quando si va in bagno, ma, in fondo, questa è quasi la norma. La locandiera Molly, però, è chiaramente una paracula che sa ammaliare le persone (è una sorta di Giuliana la subrettina brasiliana di “Italia uno” ricordate?), solo con 10 kg in più e meno bella, ma ugualmente sempre sorridente e provocante.
La sera alle 20.00 è arrivato David, il nostro autista, con una Land Rover da 9 posti e ci siamo accordati per il giorno seguente: stabilito che Ishasha, al confine con il Congo nella zona del North Kiwu, è zona sicura nonostante sia sconsigliato recarvisi, abbiamo deciso di intraprendere il tour nell’Uganda risalendo il Queen Elisabeth da questa parte. Ma questa è un’altra storia.
Continua…
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