Le origini di questa terra sono ancora oscure, alcuni la definiscono “la terra dei neri” dal persiano, altri “la terra dello zenzero” dagli arabi. L’ isola di Unguaja ospita la capitale, Zanzibar city. Qualche chilometro a sud c’è Mafia Island quasi sconosciuta, un’isola abitata prevalentemente da pescatori. A nord di Unguja si trova Pempa, soprannominata anche “isola sempre verde”, per la sua vegetazione rigogliosa, con pochi villaggi turistici e strade sterrate ancora difficili da percorrere.
Il punto forte di questo paradiso è il mare, i fondali cristallini, la sabbia bianca e l’ emozioni che riesce a trasmettere.
Nel mio piccolo conosco quest’isola abbastanza bene, sono circa 11 anni che passeggio fra le vie di Stone Town, la capitale, e posso assicurarvi che si tratta di un paradiso a cielo aperto.
Le vie richiamano le popolazioni che l’hanno attraversata, dagli arabi ai persiani, indiani, moreschi, europei. Stone Town è la parte vecchia della città, difatti in Swaili, la lingua locale, la traduzione è proprio “la città vecchia”, eletta Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco nel 2000.
Passeggiando per le vie si possono ammirare i portoni di legno intagliati, decorati con motivi islamici o indiani. Fra i palazzi più belli della città dovete assolutamente visitare la Moschea di Malindi, il Palazzo del Sultano, quello delle Meraviglie, la cattedrale di San Giuseppe con le sue guglie e per gli amanti della musica la casa del grandissimo Freddy Mercury. Si trova all’incrocio tra Kenjatta Road e Gizenga Street, nel cuore di Stone Town, oggi occupata da un negozio di souvenir, la Zanzibar Gallery.
Purtroppo non troverete molto, oltre qualche foto e una placca d’ oro fuori la porta. Molti altri paesi avrebbero sfruttato maggiormente la presenza di un artista cosi influente, ma forse per qualche pregiudizio sulla sua omosessualità e la sua morte per Aids, Freddy Mercury non è stato mai amato a pieno.
Camminando sul lungo mare sarete circondati da tavolate di mille colori. Cibi locali cucinati e serviti sulla strada. Spiedini di carne e pesce grigliati al momento o impanati. Ananas fritte, dolciumi, il naan: il pane prettamente indiano che si accompagna a salse speziate che stuzzicano l’appetito.
I negozi per le strade sono piccoli bazar che espongono frutta di stagione, pacchi di riso, banane fritte, samosa di carne e verdure. Il mercato generale non ha un buono odore, ma la fragranza delle spezie si miscela al resto e inganna l ‘olfatto.
La popolazione del luogo vive di cose semplici, la maggior parte di loro sono sotto la soglia di povertà. Si sostentano utilizzando le materie prime che offre l’ isola , come la pesca e l ‘ agricoltura rurale.
Indossano quasi sempre vestiti colorati e i loro visi sono sorridenti con un leggero velo di malinconia.
Hanno la loro cultura, professano per il 97% la religione musulmana, vivono secondo esigenze e priorità molte diverse dalle nostre, ma quando mi fermo ad osservarli non vedo invidia nei loro occhi, ma sorrisi e semplicità di chi riesce a vivere e gioisce con poco.
I bambini trasformano qualsiasi oggetto in gioco, la loro fantasia è la nostra play station, come se l’orologio per loro si fosse fermato ai tempi dei nostri nonni.
Le donne del posto accudiscono i figli, lavorano nei campi e nei periodi di turismo lasciano Stone Town per dirigersi verso i resort dove si trasformano in abili venditrici. Espongono sulla spiaggia le loro creazioni artigianali: quadri colorati, tele masai e ci deliziano con massaggi rilassanti.
Non hanno attestati affissi alle pareti dei propri saloni, mani soffici come seta, ma piccole capanne fronte mare con teli bianchi per ripararci dal vento e coccolarci, mani un po’ ruvide per un effetto scrub a soli pochi spiccioli e qualche regalo.
Non posso far altro che augurarvi buon viaggio, e come direbbero in zanzibarino: KARIBU!
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