Le isole di plastica sono gigantesche superfici creatasi per la convergenza di rifiuti. In gran parte, di origine plastica, che si accumulano in specifiche aree degli oceani a causa del moto delle correnti. In questo modo la spazzatura proveniente da tutto il mondo, finisce per addensarsi in zone precise fino a creare delle vere e proprie bombe ecologiche a orologeria. Ipotizzate già a partire dagli anni Ottanta. Oggi le isole di plastica sono state scoperte e vengono monitorate costantemente da organizzazioni ed ecologisti. Ne hanno più volte denunciato la pericolosità. Al tempo stesso la loro esistenza è il sintomo di un problema più vasto, quello legato all’impatto ambientale delle attività umane e alla necessità di riciclare i rifiuti. Soprattutto quelli plastici in quanto non degradabili.
Queste enormi concentrazioni di rifiuti plastici sono pericolose non solo perché alterano l’equilibrio ecologico dei mari e ne occupano una parte sempre più grande, ma anche per il fatto di essere una grave minaccia per la fauna e la flora marina. Infatti sono sono sempre più numerosi i casi di pesci, mammiferi marini e uccelli che muoiono per essere rimasti intrappolati o soffocati dai detriti. Inoltre le particelle di plastica vengono ingoiate dai pesci e risalgono la catena alimentare fino a raggiungere l’uomo.
Viene chiamato anche Great Pacific Garbage Patch, cioè Grande Chiazza di Immondizia del Pacifico. Come indica il nome, si trova nell’Oceano Pacifico. Le correnti hanno portato all’accumulo progressivo di rifiuti plastici. Un’area compresa fra il 35º e il 42º parallelo Nord e tra il 135º e il 155º meridiano. Quest’isola di plastica è più grande di tutta la penisola iberica. La sua estensione non è stata ancora determinata con precisione. Tuttavia le stime minime partono da 700.000 chilometri quadrati. Per alcuni esperti si parla invece di una superficie occupata dai rifiuti pari a 10 milioni di chilometri quadrati, ancora più estesa di tutto il territorio degli Stati Uniti.
L’accumulo dei rifiuti del Pacific Trash Vortex è iniziato durante gli anni Ottanta a causa del movimento a spirale in senso orario della North Pacific Subtropical Gyre, di cui quest’area costituisce il centro. Il vortice ha permesso l’aggregazione dei rifiuti galleggianti, formando un’enorme nube di immondizia, corrispondente a 4 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, detriti fatti affluire dai maremoti e container caduti dalle navi cargo.
Anche se il Pacific Trash Vortex risulta essere l’isola di plastica più famosa al mondo, ne esistono altre, con estensioni più o meno notevoli. Sono situate nell’area meridionale dell’Oceano Indiano (tra l’Africa Meridionale e l’Australia), nel Pacifico Meridionale (tra Perù e Nuova Zelanda) e nell’Oceano Atlantico Settentrionale. Quest’ultima è chiamata anche North Atlantic garbage patch. L’isola di plastica del Pacifico Meridionale è più grande del Messico e ha un’estensione pari all’intero Mar Mediterraneo e a otto volte l’Italia.
Infatti la Patch Garbage South Pacific possiede una superficie di circa 2,6 chilometri quadrati. L’esistenza di questo enorme accumulo di detriti al largo delle coste di Cile e Perù era già stata ipotizzata fin dalla fine degli anni Settanta, tuttavia le prime prove concrete si sono avute nel 2011. La conferma è stata ottenuta soltanto di recente dalla Fondazione di ricerca Algalita grazie ai test e al campionamento eseguito dal team di ricerca del capitano Charles Moore, lo scopritore dello stesso Pacific Trash Vortex.
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