Il Vocabolario Treccani alla voce “valigia” dice: “Contenitore per riporvi il vestiario e altri oggetti personali da portare con sé in viaggio“. Non dice nulla su quali siano “gli oggetti”, non c’è un elenco specifico, ciascuno di noi ci mette dentro quello di cui non può fare a meno.
Lo stesso vocabolario riporta alcune frasi idiomatiche nella nostra lingua, la più appropriata alla nota che voglio scrivere è: fare le valigie nel senso di andarsene o di doversene andare contro la propria volontà.
Ieri tutto il mondo ha visto la foto di un papà che prima di scappare dalla sua casa martoriata dalla guerra ha fatto la valigia mettendoci dentro ciò che aveva i più caro. A lui non serve lo spazzolino da denti, i suoi libri li ha lasciati a casa, il vestiario, basta quello che ha addosso, il suo viaggio ha come destinazione la sicurezza di un bambino.
Quell’uomo sta proponendo alla Treccani di cambiare quella definizione a meno che il bambino non rientri all’interno della categoria degli “oggetti personali”. La follia dell’Uomo sgomina perfino le definizioni consolidate nel lessico e quella foto mette noi di fronte ad una responsabilità enorme perché è capace di trasferire all’interno di un dettaglio tutta l’inutilità di contrapposizioni tra le grandi potenze del pianeta insieme alla colpevole, se non connivente, neutralità di chi guarda, aspetta, cercando il suo proprio tornaconto. Perché le guerre, alla fine, arricchiscono sempre qualcuno.
La fotografia che ieri ha riempito le pagine dei giornali e, spero, le nostre coscienze, ritrae un bambino addormentato in una valigia, ma quella inquadratura ha tutta la sua drammaticità nel fatto che non si vede l’uomo che la trasporta, ma solo la sua mano. Quella mano resterà un simbolo di disperazione e di impotenza, anche per noi, quella è una mano la cui testa ha preso l’unica decisione possibile per sopravvivere all’ambiente, quella è una mano la cui testa è abbandonata dal mondo che vede e dimentica.
Quella mano e quella testa hanno anche dei piedi, anche quelli sono fuori dalla fotografia, ma portano la valigia il più lontano possibile. Lo scorso anno ci siamo svegliati un brutto giorno di fronte ad Aylan, che sembrava addormentato sulla spiaggia turca ed era invece affogato perché la sua valigia era naufragata, questo bimbo, di cui non consociamo il nome è addormentato per davvero.
Speriamo che i piedi veloci di quella testa dalla mano ferma facciano in modo che si possa svegliare in un altro mondo dove i bambini corrano ma non scappino dove i genitori li guardino correre senza paura, dove le valigie tornino ad essere quelle il cui uso è descritto così bene dalla nostra enciclopedia.
In quella foto si vede di scorcio la strada che quei piedi hanno fatto, non si vede quella che ancora devono fare per arrivare, magari, fino a noi. I piedi di quell’uomo sono motivati, sono motivati da quello che ha nella valigia.
Immaginiamo il papà una volta arrivato, poserebbe in terra la valigia, dolcemente, per non svegliare il bambino, e con la stessa mano busserebbe alla porta. Fargliela trovare chiusa significherebbe non dargli la soddisfazione di scegliere il bambino e dirgli: guarda! Sarebbe la nostra sconfitta ed un delitto [In sette anni di guerra, di cui due giorni fa era il triste anniversario del suo inizio, quasi 12 milioni di siriani sono stati costretti a lasciare la loro casa. Il piccolo di Hamouria è uno di questi N.d.R.].
Per ultimo grazie, a chi ha inventato la fotografia e a chi la pratica in questo modo, senza di loro saremo tutti più superficiali.
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