L’Angelo del Dolore, quello originale, segna un luogo ben definito, una storia ben definita ma non è l’unico al mondo perché ne ha ispirati altri, comparsi soprattutto in varie parti d’America.
Allora le storie d’amore si somigliano un po’ tutte? Forse. Ma da alcune, in particolare, riesce a nascere un’autenticità pura. È il caso di questo monumento funebre nel Cimitero Acattolico di Roma.
Gli amori che durano una vita, come quello tra Emelyn Eldredge e William Wetmore Story, non hanno bisogno di un angelo che li tenga uniti dopo la morte, e questa è la nota più evidente di un rapporto tanto intenso.
Ma quando l’amata compagna di vita scomparve, William, che era un affermato scultore, critico d’arte, poeta ed editore, non potè fare a meno di imprimere nella materia le lacrime, il moto di stanchezza, il forte senso di perdita. Creò così una figura lattea, dolce, che voleva abbandonarsi sulla lapide e restare lì in eterno, a custodia o come semplice compagnia.
Sembra riposare l’angelo, ma le mani appassite, in avanti, le ali prive di elettricità, esanimi, fanno invece emergere un dolore impossibile da sopportare. Quello di un uomo che ha perso la sua musa, il suo sostegno, la sua donna.
E allora ecco che ogni dettaglio di questa statua romantica prende forma. Dalle mani, ai piedi, alla postura, l’angelo del dolore empatizza con la luce che gli cade addosso, e ogni movimento, che sembra cristallizzato nel marmo, ha invece una sua propria direzione, un suo proprio impulso.
Emelyn e William ebbero una vita appassionata, e nel trasferirsi a Roma furono proiettati nei salotti e nella mondanità della capitale. Vissero appieno ogni giorno ed ebbero quattro figli. Tre di loro seguirono le orme paterne e furono segnati dal fuoco sacro dell’arte. Uno invece morì a sei anni e fu sepolto prima di sua madre nel Cimitero Acattolico.
Questa tomba, quindi, e questo angelo non custodiscono soltanto il corpo dell’ormai anziana Emelyn, come aveva predisposto William, ma la riuniscono a lui, che morì poco dopo di lei, e al loro figlio, in una specie di aldilà terreno, dove rimanere abbracciati per sempre.
Somiglia a una favola se non fosse che è una storia accaduta e, di cui, si ritrova traccia proprio in questo monumento funebre.
Una scultura, L’Angelo del Dolore, che da qualsiasi punto la si guardi, catalizza l’attenzione. I passi allora si muovono fino a sfiorarne le ali esanimi o le dita appassite. E una volta lì di fronte, se pure ignari della storia, non si può non sentire tutto l’amore di chi l’ha scolpita, di chi le ha conferito tanta grazia.
Della stessa Autrice:
La fontana delle Tartarughe Le donne del Marocco La romanità
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