Le Concerie Medioevali sono comparse lungo il mio viaggio già al secondo giorno ma non le ho nemmeno nominate quando ho descritto Fès e la visita alla Medina. Ho preferito metterle in stand-by fino al ritorno a casa, perché l’istintività in certi casi non paga.
“Vi capita mai di fare un bilancio di ciò che avete respirato in vacanza, scoperto di diverso dalla vostra cultura?
Io ho tanti scatti fotografici che mi costringono a questo passaggio, e allora, niente, nel ricucire i dettagli metto insieme quello che mi è piaciuto di più o di meno, i momenti che non si lavano via, le situazioni e i posti che davvero scalfiscono il cuore.
Il viaggio, io, lo vivo a pieni polmoni e queste foto, questi scritti sono ciò che mi resta.
Perciò capita perfino di dover scrivere di un posto che si è amato e odiato allo stesso modo, pur sapendo di cadere in contraddizione, uno di quei posti in cui non riuscirei a tornare mai più”
Sono situate nel quartiere Derb Chowara e sembrano una specie di grande arena disegnata da enormi vasche di pietra, rudimentali.
I marocchini che lavorano in queste Concerie, restano immersi per ore in colorazioni chimiche che vanno dal giallo curcuma, al blu indaco, al verde menta e, non solo tingono le pelli, che siano di mucca, cammello, pecora o capra, ma le ammorbidiscono e le stendono ad asciugare.
Un vero laboratorio a cielo aperto che, come primo impatto, rimanda a qualcosa di veramente artistico.
Si può assistervi soltanto dalle varie terrazze, dei negozi di pelle, che vi affacciano sopra. Un incubo per me entrarci visto che c’è una commercializzazione estrema degli animali. Che non condivido e non tollero.
Non c’era altro modo di assistervi, quindi mi sono fatta forza e sono entrata.
Erano gentilissimi: mi hanno steso immediatamente un rametto di menta, che ho accettato pur guardandolo con perplessità, e poi con grande dimestichezza mi hanno fatto strada fino alla loro terrazza mostrandomi qua e là qualche cinta o borsello, sperando in un mio acquisto.
Mentre ci avvicinavamo alla finestra, ho compreso a cosa mi sarebbe servito il rametto di menta, in un attimo l’ho ricacciato dalla tasca e schiacciato, più che potevo, sotto il naso. Dalle Concerie saliva un puzzo nauseante che pungeva lo stomaco.
Ho assistito almeno mezz’ora a quel lavorare incessante degli operai. E il concetto di “artistico” è scemato.
A parte le pelli che mi facevano ribrezzo, il pensiero è andato a quei poveri uomini, a quel vivere! Mi sono trovata faccia a faccia con le grandi disparità sociali, che so esistere, ma in quel contesto, in quel quadro tanto pittorico quanto disumano, mi hanno fatto stare male più del puzzo.
Me ne sono uscita col cuore in fiamme e il respiro affannato, cercando di riprendermi l’aria che mi era mancata.
Poi diciamo che il viaggio è proseguito con tutto quello che avete già letto, ma questo fatto me lo sono tenuto dentro, forse per digerirlo, forse per ragionarlo.
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