Un argomento tanto rilevante quanto poco discusso quando si parla di studiare all’estero è quello dei visti per motivi di studio e di ciò che gira intorno alle politiche di migrazione di ogni Paese ospitante in riferimento proprio agli studenti internazionali. Per le migliaia di studenti che ogni anno si iscrivono ad esperienze di studio all’estero di durata medio-lunga, la questione è particolarmente rilevante, non solo in termini di procedure di rilascio dei visti, ma soprattutto in riferimento ai possibili scenari futuri che si prospettano come opportunità e minacce.
Vediamo insieme la situazione attuale e i possibili scenari che il 2024 ci prospetta.
In Olanda già da alcuni anni si discute della questione relativa all’elevato numero di studenti internazionali, europei e non, iscritti ai numerosi corsi di laurea e post-laurea in lingua inglese.
La presenza di questi corsi, l’ottima reputazione delle università olandesi e le rette di importo contenuto hanno contribuito a fare dell’Olanda una delle mete preferite per studenti internazionali, italiani inclusi, per un totale stimato di circa 115 mila studenti stranieri l’anno (un terzo del totale).
Il corto circuito tra studenti internazionali e crisi alloggiativa è emerso negli anni a ridosso della pandemia, tra smart working, nuove necessità abitative dei residenti, il crescente numero di domande di ammissione da parte di studenti che, in passato, avrebbero scelto altri Paesi (Regno Unito in testa) e il crescente numero di corsi universitari in lingua inglese.
La scarsa disponibilità di alloggi non riguarda solo gli studenti in Olanda, ma anche gli studenti in Canada e quelli in Inghilterra, segno che non sono gli studenti la causa, ma piuttosto le vittime del problema.
In Olanda, il Governo non permette che gli atenei costruiscano o gestiscano alloggi propri, né ha incoraggiato in passato politiche di costruzione di residenze studentesche gestite da terzi, facendosi quindi trovare impreparato ad accogliere un numero crescente di richieste.
La soluzione?
Si parla ad oggi di un piano di costruzione di 60.000 nuovi posti letto entro il 2030, mentre già dallo scorso inverno il Governo Olandese ha richiesto agli atenei di fermare ogni attività di reclutamento attivo di studenti internazionali, annunciando un piano di riduzione dei corsi in lingua inglese e un ritorno a quelli in lingua olandese.
L’incoraggiamento a incrementare il numero di corsi universitari in lingua olandese a discapito di quelli a lingua inglese si ricollega ad un vecchio dibattito: avere un elevato numero di studenti internazionali è un costo o un vantaggio per il Paese che li accoglie?
Il Governo Olandese appena eletto sembra propendere per la versione “costo”, specialmente se si tratta di studenti Europei che pagano rette ridotte rispetto a quelli non EU.
Dello stesso avviso sembra essere il Regno Unito.
Qui il dibattito tra chi vuole inserire gli studenti internazionali nelle quote totali di “immigrati” e chi vuole tenerli fuori dal conteggio esiste da molti anni.
Nel 2021, il Governo Inglese lancia la Graduate Route: un’ottima opportunità per gli studenti internazionali di rimanere in UK dopo la laurea o master per ulteriori 2 anni, con familiari al seguito, allo scopo di agevolarne l’inserimento lavorativo.
Accolta con ottimismo dalle università britannica, dopo nemmeno 2 anni, la nuova policy nel 2023 è stata parzialmente limitata, vietando l’ingresso ai famigliari degli studenti, e annunciando ulteriori restrizioni nei rilasci di questi visti per il 2024.
Stessa policy contraddittoria quella attuata dal Governo Australiano, che pochi mesi fa aveva lanciato la Post-Graduate Route per studenti post-laurea o dottorandi, per permettere loro di rimanere nel Paese per motivi di lavoro per almeno 2 anni dopo gli studi.
A fine 2023, l’Australian Home Affair Office ha pubblicato una nuova “Migration Strategy”, con la quale si annunciano controlli restrittivi sul rilascio di tali visti, per limitare gli abusi di attori poco seri, e una modalità di rilascio chiamata “Genuine Student Test”, i cui criteri non sono ancora stati diffusi.
Scelte di questo tipo creano confusione nei diretti interessati e nelle loro famiglie, e spingono inevitabilmente a optare per Paesi più accoglienti e coerenti in termini di politiche migratorie verso studenti e professionisti (uno su tutti: il Canada).
Inoltre, tali scelte sembrano ignorare i numerosi vantaggi che internazionalizzare le università apporta all’economia del Paese ospitante (es. in modo diretto: rette, alloggi, spese personali degli studenti, viaggi), agli studenti locali e alla società tutta (bandi internazionali, collaborazioni tra aziende, progetti di ricerca, circolazione di idee).
Si scaricano soprattutto sugli studenti internazionali le responsabilità di anni di mancate politiche alloggiative e economiche, facendo leva su certe idee di conservazione e autosufficienza culturale mai del tutto passate di moda.
Come andrà a finire? Lo vedremo nel 2024.
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