Presepe di Ait Ben Haddou dall'ansa - PhotoCredit: Emanuela Gizzi
Attraverso l’ansa del fiume in secca e guardo su, mi commuovono le forme orlate delle costruzioni. Se dall’altra parte dell’ansa, Ait Ben Haddou somigliava a un presepe, adesso, dal suo interno, è come un moltiplicarsi di castelli. Si scompongono in tanti abitati, si abbarbicano uno sull’altro fino alla cima, salendo e scendendo, in diversi piani e dimensioni.
C’è una dimensione fotografica in ogni taglio, un’ispirazione immediata dovuta alla forte connotazione storica. E il tempo sembra non averla portata via. E’ dentro il suo quadrato.
Abbaglia la creta e pullulano i negozi di stoffa berbera. Ne compro una blu indaco che mi ricorda il mio amico Tuareg. La indosso, anzi mi ci custodisco dentro per proteggere tutte le emozioni, per non dimenticare mai Kasbah Tebi
Vengo rapita dalle tante e minimali botteghe di artigiani, dai pittori e dagli scorci pittorici. Siamo in un silenzio artistico.
Mancano la notte e le luci per sentirsi davvero in un presepe vivente.
Ma è giorno, il sole è alto e ogni salita custodisce una nicchia, una storia, un frammento di paesaggio, un angolo di pace, un silenzio in cui conversare, una terrazza, una finestra aperta su tutto.
Ho come l’impressione di non arrivare mai, se mando un’occhio verso il basso mi sembra di aver scalato una montagna, ma il guado del fiume in secca non è lontano. E nemmeno Kasbah Tebi lo è. Eppure da qui si respira un senso diverso delle cose. Una bellezza senza contrasti, non ci sono mura scrostate, bambini fantasma. C’è l’architettura ritrovata, il senso estetico, la delicatezza marocchina.
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