Una gita a Roma, al Rione Monte, tra pietra, arte e cultura
Una gita a Roma, al Rione Monte, tra pietra, arte e cultura
Sono arrivato al Rione Monti di Roma una quarantina di anni fa. La movida non c’era, ci si incontrava nelle cantine per leggere poesie o per parlare di politica, si giravano le botteghe artigiane per ascoltare la filosofia dei semplici che è saggezza popolare, sapienza cordis.
Rione Monti com’era
Era un Rione e allo stesso tempo una comunità, un borgo a ridosso del più importante parco archeologico del mondo ed al centro di una grande città. So’ Monticiano era un po’ l’equivalente moderno di civis romanus sum. Il fabbro, il bar, il barbiere erano i punti di raccolta delle idee e della corrispondenza: da prelevare e da spedire, un po’ sala riunione, un po’ ufficio.
Oggi hanno inventato i coworking centers e noi non sapevamo nemmeno di averli perché li chiamavamo da Nello, La Licata, Roma Club; c’erano ancora le legatorie per libri, laboratori dove un vecchio testo consumato dall’uso poteva essere salvato, perché un libro non lo si finisce mai di poter usare.
Si aveva ancora voglia e capacità di ascoltare, ascoltare gli altri, vivere insieme le feste, e celebrare la Roma, quella di Falcao, di Pruzzo, e Bruno Conti, evento di fede popolare di ogni domenica pomeriggio.
Rione Monti oggi
Oggi Monti è la tappa obbligata di ogni turista che giunga nella capitale ed è meta gradita da molti giovani essendo uno dei centri vitali della Roma del sabato sera. Ci sono molti motivi per una passeggiata a Monti: le sue strade, i suoi vicoli, la sua storia, i suoi locali che trovate elencati in ogni guida turistica, lo scopo di questo articolo, però, è offrirvi un motivo per venire questa settimana e conservare per sé un momento sintonizzato allo spirito che animava le serate degli anni ’70 ’80, sulle tracce di una ricerca fatta di quelle emozioni che nascono dall’incontro con l’arte e le sue contraddizioni, le sue manifestazioni, le sue rappresentazioni.
A maggior ragione oggi che la continua ricerca di rassicurazione, tranquillità ed intrattenimento ci porta a distanza dall’arte e dalla cultura oggi, che si scansa tutto quello che possa produrre inquietudine anche quando agisce con la leggerezza di un giullare, oggi, che negli anni ’70 avremmo chiamato “futuro” è il giorno giusto per seguire il suggerimento di queste pagine.
Roma, rione Monti l’arte e la pietra
Chissà perché quando pensiamo alla storia, pensiamo solo alla storia dell’uomo. Ce n’è una, di storia, molto più antica, che riguarda tutto quello che circonda l’uomo, come per esempio la pietra.
Chissà perché, quando pensiamo a una pietra pensiamo a qualcosa di immobile ed eterno, mentre anche loro sono state materia liquida incandescente prima di salire a prendere aria per costruire il tappeto sul quale camminiamo.
Sono tutto intorno a noi, le pietre, sono nate come fondo del mare oceano per poi emergere e riempirsi dei colori e dei profumi dei fiori, delle piante, del sole e, da processo chimico, diventare parte della nostra vita: le nostre case, le nostre fontane, la panchina dove andiamo a riposare o dove andiamo di vedetta, a controllare il mondo che passa.
Le pietre hanno incontrato l’uomo e così sono mutate le forme ed i loro colori oltre ogni immaginazione. Per la verità è il contrario, è l’uomo ad aver incontrato le pietre che sulla terra c’erano già da qualche miliardo di anni, ma Roma, città che con la pietra ha costruito un impero prima che Pietro diventasse pietra di un’altra storia, è anche la città dove Ovidio ha scritto le Metamorfosi, una storia in cui chiunque, specialmente se divinità o oggetto sacro, prima o poi diventa altro da sé.
Questi i due motivi per i quali oggi vi invito a Monti: la pietra e la sua possibile metamorfosi. Venite e potrete vedere come l’oggetto per definizione più duro che conosciamo (duro come la pietra) più aggressivo e tagliente (le parole sono pietre), la materia che per cambiare di forma necessita qualcuno con una forza smisurata, sorrida, e vi guardi di sottecchi deformata dall’unica cosa che è in grado di produrre una energia tanto grande da riuscirci: l’immaginazione dell’uomo.
In via San’Agata dei Goti, di fianco al vivace ed attraente mercato coperto di via Baccina, proprio girato l’angolo della casa dove visse, scrisse e pensò di Roma e dei Romani Ettore Petrolini, in uno degli scorci più suggestivi del Rione, dove le luci calde del tramonto romano impastano la tavolozza di un colore inspiegabile come i miracoli, tra conventi ed artigiani dove uomini intenti ad attività diverse si affidano entrambi ad una stessa idea di sacro, al numero 27 c’è l’atelier del maestro Francesco Acca. Uno scultore, uno di quegli uomini che le pietre le ha incontrate e le ha inondate con la sua fantasia fino a fondere due materie così diverse fatte di concreti e di astratto, fatte di materia e di nuvole, in modo che potessero convivere. Così dalle forme stesse che il mare ha dato ai sassi, Francesco Acca riesce ad intravedere il sorriso e gli sguardi intensi dei suoi ritratti di pietra, rifinendo ciò che il mare ha cominciato ed estraendo dalle pietre stesse sguardi, pose e atteggiamenti umani.
L’arte di Francesco Acca, le parole di Ovidio, la pietra
Un modo che rimanda alle nostre origini, al mito primordiale del diluvio come preludio alla resurrezione di un popolo migliore. Nelle Metamorfosi, Ovidio descrive questo percorso prendendolo dalla mitologia Greca, dalla quale tutti discendiamo, e lo fa attraverso la storia di due coniugi anziani e virtuosi: Deucalione e Pirra che, proprio per questo, erano sopravvissuti al grande diluvio che gli dei avevano mandato sulla terra per punire gli uomini. Deucalione e Pirra espressero agli dei il desiderio di non volere stare soli sulla terra ormai deserta. Così pregarono Giove di concedergli la compagnia di altri uomini. Fu allora che il re degli dei ordinò loro di camminare lentamente gettando pietre alle loro spalle. Cosa successe ve lo faccio raccontare da Ovidio stesso:
Le pietre (chi potrebbe mai crederlo se una tradizione antica non lo testimoniasse) incominciarono a perdere l durezza e la rigidità che sono loro proprie e a intenerirsi e intenerite, a prendere forma. Ben presto crebbero, assumendo l’aspetto di una materia più debole: in un certo senso vi si poteva intravedere la forma umana, non proprio manifesta come quella di un marmo sgrezzato , quando non è ancora stato lavorato di fino, simile a statue appena abbozzate.
A questo punto entrate nell’atelier di Francesco Acca e rileggete le parole di Ovidio di fronte alle sue opere, troverete una assonanza interessante, deve essere Roma che continua a fare di questi miracoli.
Non ho mai visto Francesco lavorare, ma lo vedo spesso insieme a sua moglie percorrere avanti e indietro le strade del Rione, proprio come Deucalione e Pirra alle prese con pietre da cui estrarre la vita affinché generino forme umane da un mondo che vuole risorgere dal diluvio. Solide forme che danno luogo ad una stirpe dura come la materia di cui è fatta, che sa resistere alle fatiche. Così conclude Ovidio, per giustificare la nuova umanità nata da quelle pietre e, ai suoi tempi, destinata a dominare il mondo; molto meno trionfalmente.
Francesco Acca cerca, come ogni artista di talento, di portare una emozione fuori dalle sue creazioni avendo di suo la leggerezza di saper guardare le cose oltre le cose stesse e la tenacia che ha evidentemente ereditato dalla materia che tratta.
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