Torniamo con la seconda parte del viaggio in Rwanda e Uganda. Per chi ci si fosse perso la puntata precedente cliccate qui per leggere l’inizio dell’avventura!
07 settembre 2015
Stamattina siamo partiti per il Rwanda dalla bus station “Coguaro” di Kampala, dove ieri avevamo acquistato i biglietti, destinazione Kigali. Il bus doveva partire alle 09.00, ma incredibilmente, alle 08.55 eravamo già fuori la stazione, così abbiamo dovuto raccogliere una giovane rwandese, che era quasi arrivata in anticipo, lungo la strada (ho pensato che, seppur noi non ci siamo abituati, a volte partire prima dell’orario stabilito potrebbe far incazzare più che partire in ritardo!). Abbiamo fatto la prima tappa per il carburante alle 09.01 e, quindi, ci siamo avventurati in strada alle 09.35(?): inizio a capire la relatività del tempo africano, temo saranno lunghe attese e ritmi decisamente lenti.
Ba mi ha chiesto, in modo filosofico, per quale ragione noi occidentali ci affanniamo tanto. Credo semplicemente per far più cose possibili. Qui una cosa al giorno sembra essere sufficiente, almeno nella misura in cui ti permetta di sopravvivere per quel solo giorno. Vivono meglio? Sono più felici? Ancora non lo so, ma la strada per Kigali mi ha svelato un Uganda bellissimo che, scorrendo dal finestrino, mi è arrivato direttamente dentro. La terra soprattutto: rossa di vita. Sentieri allucinanti in mezzo alla foresta; cumuli alti sino a due metri che, guardando bene, ho visto essere nidi di termiti; scavi di mattoni messi a cuocere al sole. E poi il verde, l’altro colore che pervade tutto: la natura è così rigogliosa che si intuisce immediatamente che, qui, ancora sovrasta ampiamente l’uomo. I banani e i platani
sono ovunque con le loro ampie foglie e i frutti appena colti, anch’essi a caschi generosi. E’ un po’ come se qualcuno avesse spinto inavvertitamente il tasto “colour” sul telecomando e, improvvisamente, ogni colore sul video ti appare esagerato. Ed invece, no. C’è un posto nel mondo in cui quei colori esistono davvero: è l’Africa! É l’Uganda, di certo!
É curioso scoprirne l’esistenza con sorpresa, ma qui siamo veramente alla periferia del mondo, dove ciò che succede al “centro” incide sulla vita di queste persone in modo molto limitato. Dimenticati dalla “civiltà” gli ugandesi sembrano vivere come abbandonati nella storia e nel tempo. Ed è proprio l’anonimato e la normalità di tanta bellezza che colpisce. Dopo aver visto (ma soprattutto ascoltato a tutto volume) sul televisore del bus una intera serie telefilm locale girata con una telecamera amatoriale siamo arrivati a Gatuna, porta sul confine Uganda/Rwanda. Abbiamo timbrato il visto in uscita dall’Uganda e, a passo veloce, ci siamo diretti a piedi verso il Rwanda attraversando la terra di nessuno tra decine di ragazzi che volevano cambiare i nostri dollari. Quindi abbiamo fatto la coda per il timbro in entrata e… giunto il nostro turno, sorpresa. Il funzionario ci chiede perchè sul nostro passaporto non c’è il visto rwandese. É ovvio, dobbiamo acquistarlo lì. Invece no, è sbagliato: qui non lo vendono, dovevamo prenderlo a Kampala, presso l’ambasciata del Rwanda. Risultato: non ci fanno entrare, dobbiamo tornare indietro (sette ore di pullman) e municerne. Chiedo spiegazioni all’agente “Coguaro” che mi ha venduto il biglietto assicurandomi che il visto si poteva acquistare alla frontiera: scuote le spalle, non gliene può fregare di meno! Nel frattempo io e Ba viviamo momenti di puro terrore: l’autobus ci abbandonerà nella terra di nessuno, nella migliore delle ipotesi
dovremo tornare indietro, pagare un nuovo visto di ingresso in Uganda (se possibile) e tornare a Kampala; nella peggiore non ci faranno rientrare in Uganda perchè sprovvisti di visto e non sapremo che fare là in mezzo.. E piove, pure!
Torniamo a parlare con il funzionario che esce dalla sua postazione per spiegarci che non si può fare niente. Imploriamo, mostriamo i permessi per la visita ai gorilla nel Parco dei Vulcani, già pagati ($. 1.000), Ba scoppia in un pianto dirotto. Esce un altro funzionario, questo in divisa. Preghiamo pure lui. Alla fine, dopo circa quindici o venti minuti, il miracolo: si muovono a compassione e ci fanno pagare. Così è, e ci appongono sul passaporto il timbro tanto bramato. Noi ringraziamo calorosamente e ci rifugiamo sul pullman, timorosi che qualcuno ci ripensi. Finalmente siamo in Rwanda. “Pioviccica” ed è nuvoloso. La vegetazione è invadente.
Qui il rosso della terra è sovrastato dal verde delle piante e le colline, effettivamente, sono ovunque. Alcune sembrano finte, tanto sono tondeggianti, quasi enormi sfere interrate per metà. I fiumi ed i ruscelli sono abbondanti e marroni di terra: sicuramente piove da diversi giorni e, la vita intorno è tutta bagnata. Le strade non sono malaccio e, seppur non fa freddo, si respira netta la sensazione di stare in montagna. Arriviamo a Kigali alle 18.30 circa, giusto in tempo per prendere un simil taxi che ci porterà all’hotel scelto sulla Lonely Planet: l’Hotel Isimbi (18.000 Franchi Rwandesi, circa $. 35).
Il tassista, un giovane di circa 20 anni, tenta in tutti i modi di fregarci e questo mi fa decisamente innervosire. Sono sul punto di sfogare contro di lui la tensione accumulata nella giornata. Poi prevale la ragione, pago quello che avevo deciso io e “lo invito a recarsi in un famosissimo paese ai piedi del Rwenzori”… Prima di cena facciamo un giro. Kigali è tutta buia, sembra tranquilla, ma non c’è nessuno, né una luce. Tentiamo la ricerca di un ristorante, ma va male. Non resta che tornare in hotel e cenare lì (pollo), quindi a letto.
Fine seconda puntata – Continua…
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