Kyoto ha tante storie e tanti monumenti che ne ricalcano la natura imperiale ma, quando un set cinematografico attraversa i suoi luoghi, la bellezza si espande così l’Oriente. Parlo di Memorie di una Geisha, di cui avevo letto il libro e, qualche giorno fa, ho potuto assaporare anche il film.
Non a caso questa pellicola, e quindi anche Kyoto, ha vinto l’Academy Award come miglior fotografia e non a caso Steven Spielberg ne ha firmato la produzione. Due elementi esplosivi che hanno saputo catturare l’essenza di una città mistica.
I tanti mondi che si incrociano e confluiscono in questa città delle Pagode e dei Palazzi di legno. Dei Templi e dei Santuari. Mondi fluttuanti, così li definisce lo scrittore Arthur Golden, dal cui romanzo è poi stato tratto il film.
E nel rivederlo, mi sono soffermata a guardare i piani, le inquadrature, i luoghi.
Le location spesso sono costruite ma non in questo caso. Almeno due delle tre fotografie che mi hanno risucchiata sono siti d’attrazione, inseriti nei tour di Kyoto e forse per nulla originali, o almeno non per i Giapponesi. Tuttavia il Fotografo, Dion Beebe, australiano, li ha saputi trasformare in tre punti culmine della storia, con lo stesso taglio e punto di fuga, con una presenza massiccia di tre colori diversi: l’oro, l’arancio e il verde.
L’oro. La scala interna di un’abitazione, nel quartiere di Gion è stato il primo fermo immagine. Una lunga fuga verso l’alto, una luce tendente al giallo lampione, una Geisha, Mamelha, che apre la porta e prolunga l’estasi del colore.
L’arancio. Siamo al Fushimi Inari Taisha, un viale composto di Torii, dei portali di accesso nati originariamente per ospitare i galli sacri dalla lunga coda e divenuti poi il passaggio simbolico dello spirito verso il santuario shintoista. La protagonista, Ciyo, corre all’interno. Una fuga che sembra venire da lontano, ipnotica, o andare lontano, trasparente.
Il Verde. La Foresta di Bamboo di Kyoto, l’ultima immagine. Un viale stretto e giocato molto bene tra luci e ombre. Spettacolare, che si sviluppa verso l’alto e che la ripresa cinematografica invece percorre in orizzontale. Un elastico che si allunga e si allarga per esprimere tutta la purezza del posto.
Chiudo con una frase del libro “Non si può dire al sole: più sole! O alla pioggia: meno pioggia! Per un uomo la Geisha può essere solo una moglie a metà, siamo le mogli del crepuscolo” che mi ha molto toccata, perché amara e arrendevole eppure così piena di riferimenti alla vita, al colore, ai cambiamenti.
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